Le piazze di Repubblica

2007-05-12 19:33:39

 

L’avevo postato su Vibrisse  dopo l’uscita dell’articolo di Merlo. Oggi che il Family Day

c’è stato lo ripropongo qui.

 

Si scopre che a Repubblica non garbano le manifestazioni. Francesco Merlo infatti, nel suo pezzo dell’8 marzo sui cortei pro e contro i Dico, usa il plurale: “Non ci


piace in generale la piazza”. Non ci era mai sembrato: l’unica piazza sgradita a certi giornali pareva fosse quella di San Pietro, quando accoglieva decine di migliaia di decerebrati accorsi contro ogni ragionevole considerazione ai funerali del Papa (e giù ironie contro questi rozzi presenziatori che scattavano foto col videofonino, code puzzolenti difese all’epoca da un magnifico articolo di occhiaie di riguardo Toni Capuozzo). In effetti, anche in questa occasione, si avverte simpatia per la manifestazione legittima, il “carnevale colorato” dei gay. Intollerabile invece l’annunciato “controcarnevale nero” (nero, si badi, è aggettivo usato per il clero e per l’aristocrazia al clero legata ma evoca inevitabilmente pericolosi rigurgiti fascisti), organizzato perché la Chiesa ritiene opportuno che gli omosessuali “si vendano nell’inferno del vizio”. Come dire che gli etero che non si sposano avrebbero come unica alternativa quella di adescare sulle complanari. La frase ad effetto svela un pregiudizio dello stesso Merlo, un cedimento al luogo comune che vuole gli omo propendenti al vizio e al mercimonio. Se non ti faccio sposare ti induco al marciapiede? Bel servizio reso alla rispettabilità omosessuale.

“E’ Ruini e non gli omosessuali a credere che l’uomo sia una pratica sessuale”. Come spesso succede, Merlo proietta sulla Chiesa la fissazione genitale che è in realtà del mondo. Naturalmente i cardinali pensano che l’uomo sia tutt’altro, come ripetono ogni giorno da diversi secoli. E se certi giornalisti possono far passare l’idea di una Chiesa che si occupa dell’uomo solo dalla vita in giù, ciò è dovuto proprio al fatto che tutto quanto promana dalla Chiesa viene ignorato: in fondo al setaccio mediatico restano solo le parole che riguardano le parti basse. Un giornalista dovrebbe conoscere quell’inno solare all’Eros che è l’enciclica Deus caritas est. Non dovrebbe ignorare le parole sulla Scienza che un Papa entusiasta, commosso, rapito, ha rivolto ai giovani in Piazza san Pietro in occasione dell’ultima Giornata mondiale della gioventù. Ma ci si guarda bene dall’occuparsene, così all’occorrenza viene più facile far passare gli uomini di Chiesa per morbosi bigotti antiscientisti. 

Quello di Merlo è un capolavoro di mala fede: una tranquilla riunione di cattolici viene rubricata come “rumore di strada” (ad evocare fiammeggianti pogrom) sostenendo che “le persone perbene (fa piacere che torni in uso questa buona vecchia qualifica) non vanno in piazza contro gli omosessuali”. E già qui c’è una forzatura retorica: tutt’al più si va in piazza contro una pretesa dialcuni omosessuali (non tutti gli omosessuali apprezzano l’idea del matrimonio) ma anche di alcuni eterosessuali). Ma lo sdegno affatturato di Merlo va oltre: queste organizzazioni cattoliche manifesteranno “contro una minoranza, che come ogni minoranza, bisogna proteggere e non decimare”. Avete letto bene: “decimare”. Siamo alla shoah, anzi ai gulag castristi. Insomma, tutti noi scribacchini adoperiamo artifizi e forziamo il senso, ma qui siamo all’assurdo: perché mai impedire che gli omosessuali si uniscano in matrimonio equivarrebbe a decimarli? Nel senso che non sarebbero in grado di riprodursi? E come si riprodurrebbero? Siamo alla fantascienza, siamo a qualcosa che nessuno – men che mai un omosessuale – si sognerebbe di sostenere: che bimbi adottati o nati da inseminazione verrebbero allevati come omosessuali.

Unendosi al coro, Merlo codifica come ‘diritti’ le pretese della piazza giusta. Sa che siamo tutti proni di fronte al termine diritti. Il trucco sta nella parolina che precede: riconoscimento. Se siamo già al passo del riconoscimento vuol dire che il diritto esiste già: qualcuno lo avrà sancito. Ma chi? Non si sa. Non se ne è mai discusso veramente: ci si trova continuamente di fronte a questa formulazione: io c’ho il diritto, tu perché non me lo riconosci? E sei alle corde, sei già tra quelli che si coprono gli occhi per non vedere, per non ‘riconoscere’. Il lato comico è che se sondi in questa direzione ti ritrovi faccia a faccia con il diritto naturale: siccome io nasco così,per natura, ho diritto. Ma non eravamo approdati al divenire storico del diritto? Tutto è cultura, no? Da dove discende allora questo innegabile diritto al matrimonio di chiunque vi aspiri? E se gli omo hanno diritto di sposarsi perché il mio amico incestuoso non dovrebbe sposare sua sorella, che è pure convivente? L’incesto non è forse naturale anche nel mondo animale? O dobbiamo vietarlo perché quella incestuosa è una minoranza più ristretta? Cosa c’è, lo sbarramento al cinque per cento? E chissà, ponendo mano alle statistiche (quelle usate per dimostrare la criminosità endogena della famiglia) potremmo scoprire che gli incestuosi superano la soglia. E se poi non la superassero avremmo una ragione di più per aderire alla loro causa: non vorremo mica sterminarli

Non c’è più pudore, lamenta il giornalista di Repubblica, come si permettono di farsi vedere questi qui che “immaginavamo chini sulla teologia, a parlare di Assoluto, di Spirito, di Carità, a pensare in latino, in greco…”. Così piacevano a Merlo. Certa gente è tollerata purché si trastulli in privato (come in privato si coltiva un vizio, tanto per restare nelle corde merliane). Chiusi in un ghetto a parlare di cose incomprensibili, inattuali, remote come il sesso degli angeli. Che scandalo vederseli per le strade. Come se non sapessero tutti che lo scandalo è l’essenza stessa del cristianesimo. 

Non posso nascondere l’ammirazione per come Merlo tratteggia, con toni sentiti, l’atteggiamento che la Chiesa cattolica ha sempre tenuto nei confronti dei peccatori, omo o etero che fossero. Sottoscrivo per intero questa parte altissima. Senonché tutto ciò serve solo a preparare la botta: secoli di comprensione e di tolleranza sarebbero andati a farsi benedire per colpa di un bieco individuo collocato chissà perché alla presidenza della CEI. Tutta una gerarchia, una comunità intera, contagiate irrimediabilmente dalla ruiniana “volgarità entrata così sbracatamente in chiesa”. Merlo non è sciocco, sa che sarebbe controproducente attaccare la Chiesa nel suo insieme. Così, come usa in questi casi, se la prende con la presunta mela marcia, isolando Ruini come se non fosse stato scelto, protetto e guidato da un Pontefice e non fosse in piena sintonia con quello attuale, del quale è stato anche grande elettore. Come se il suo successore non si preparasse a seguire quel solco. 

Alla fine Merlo si dedica al gioco più praticato del momento. Come ogni italiano si sente titolato per dar lezioni al selezionatore della nazionale di calcio, così chiunque, da Baudo alla Littizzetto, sa esattamente cosa è bene per la Chiesa, cosa è bene per i cattolici. Ognuno di loro – specie se non è cattolico - è in grado di spiegare al Papa (guarda caso uno dei più fini intellettuali del pianeta) quale sia il vero messaggio di Cristo. E Merlo non si sottrae, lanciandosi in spericolate comparazioni: a lui viene in mente “quell’altra piazza aizzata contro il Cristo che arrancava sotto la croce, che fu dileggiato in piazza proprio perché diverso”. E qui davvero occorre ribellarsi: non se ne può più di questo ‘abuso di categoria’. 
Diverso è ormai un termine beatificante, perché inscindibilmente collegato al diversamente abile, allo straniero indifeso e via correttamente elencando, ma non si può includere ogni diversità nella categoria protetta. Altrimenti nel parco naturale insieme a Gesù Cristo dovremmo accogliere anche i pedofili (nascono così, con quell’inclinazione, che ci vogliamo fare, sono diversi, e Alessandro Cecchi Paone ci saprà dire quale percentuale della popolazione rappresentano). Tanto per restare sulla diversità, ricordo con gran piacere il pomeriggio passato al Gay Pride di Roma, un corteo gioioso che, appunto, marcava con orgoglio la diversità, quella diversità che per decenni avevo dovuto sopportare di sentir nominare con violento disprezzo. E a nessuno di quelli che pronunciavano i termini spregiativi ero mai stato in grado di trasmettere il rammarico per non ritrovare in me sufficienti pulsioni omosex (era un periodo in cui, soprattutto per via di Proust e di Busi, pensavo seriamente - un po’ lo penso ancora oggi - che nessun etero potesse essere uno scrittore veramente grande). Di tutt’altro segno la penosa manifestazione di sabato, tesa all’omologazione. Di chi, dimenticando gli strali lanciati contro l’idea stessa di normalità, quella normalità vuol scimmiottare. 

Non poteva mancare, in finale, il colpo da maestro: “non si può neanche immaginare Cristo che manifesta contro gli omosessuali”. E con questo è detta davvero l’ultima parola: chi di noi può immaginarselo? D’altro canto non si potrebbe immaginarselo neppure che manifesta a favore. Né dei Dico né del rinnovo contrattuale dei Forestali. Cristo manifestava in altri modi, si sa. Noi dobbiamo accontentarci.

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