Sposarsi per davvero

La cerimonia di nozze. Chi l’ha vista? Molti invitati la saltano. Perché è una formalità, perché vengono da fuori e non fanno in tempo, perché l’importante è la festa; le danze, l’abbuffata, la torta e l’engagement session, il filmino del prequel; già, usa molto montare clip e foto della vita precedente degli sposi insieme a interviste semiserie a parenti e amici, proiettandole in sala prima del dessert. Può anche essere divertente, con gli sfottò degli amici in dialetto, magari. Ora, con questa maratona da affrontare (giù da noi 

otto o nove ore) come volete che si stia a sopportare pure il rito?

 

Quello civile ci ruba una ventina di minuti, sepoffa’. Ma quello religioso ci blocca per un’ora e mezza! Tanti invitati, poi, non sopportano i preti, specie quelli – pochi – che hanno il coraggio di ricordare nella predica la diversità dei ruoli. Sarà per questo che una coppia su due ormai si sposa in municipio, una scartoffia tra le altre, l’atto notorio che ci mette a posto con l’anagrafe.

 

Un matrimonio è sempre toccante, lo ammetto, ma perché lasciarlo celebrare a un assessore? Sposatevi in chiesa, cioè per davvero. Anche se non ci credete.

 

Si, è vero, ci sono assessori dotati di piacevole aspetto e notevole facondia, così come ci sono preti inguardabili e inascoltabili. Sì, è vero, ci sono saloni di proprietà comunale più fastosi, più ornati, più eleganti di tante chiese, specie di certi orrori consegnatici dalla modernità. Anche se a volte, guarda caso, il luogo deputato per il patto civico è una chiesa sconsacrata, come la vecchia cappella padronale sita nel parco di qualche megaristorante per cerimonie. E' una certificazione deprimente di impotentia celebrandi, una caricatura, come una messa nera, comunque un pessimo viatico per un'impresa che non perdona le finzioni.

 

Certo, la fascia tricolore ha il suo fascino: si può andare orgogliosi di unirsi davanti alla Patria, nulla da eccepire (Giuseppe Mazzini disse che la famiglia è la patria del cuore). Ma l’assessore sancisce, non benedice. Non siete interessati all’acqua santa? Va bene, limitiamoci allora a considerare le formule. L’Assessore enuncia gli articoli del codice civile sui diritti e sui doveri dei coniugi: obbligo di coabitazione, di assistenza materiale (anche morale, è scritto, benché non si capisca come si misuri, in termini di codice civile, questo adempimento morale); si menziona anche l’obbligo alla fedeltà (se infranta può condizionare eventuali alimenti) e, naturalmente, alla contribuzione in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo. Poi vi verrà chiesto, molto romanticamente, se intendete usufruire del regime di comunione o di quello di separazione dei beni.

 

Se però volete sentir risuonare le parole amare e onorare per tutta la vita, dovete entrare in un Tempio. Se volete che il vostro amato prometta di essere fedele sempre, nella gioia e nel dolore, dovete presentarvi a un sacerdote, a quel sacerdote che chiuderà con un monito solenne: “L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce”. Ooops, ci si era ripromessi di non nominare Dio, che qui non sarebbe invano ma potrebbe scatenare avversioni ideologiche. Tuttavia è un patto sacro quello che stiamo stringendo, per quanto prosaica, materialista, sia la nostra visione del mondo. Nessun tifoso, mai, rinnega la sua squadra, cambiando in corsa perché gli piaceva il gioco di un’altra squadra. Sarebbe oggetto di un ostracismo più feroce di quello riservato a chi abbandona la fede musulmana. Il tifoso è legato fino alla morte a un colore. Non ai giocatori, non all’allenatore, non al Presidente, ma al colore di una maglia. Affronterebbe qualsiasi disagio per la gloria di quella maglia, più che per i colori della bandiera nazionale. Per Marc Augé la partita è una liturgia. Sacro è il prato di quello stadio, sacri gli spalti della curva dove appoggia le chiappe. Ma guai a nominare la parola ‘sacro’ a proposito del matrimonio.

 

All’assessore basterà sapere che siete cittadini non coniugati; il prete pretenderà di accertare che siate (un po’) cristiani o che facciate finta di esserlo. Vi obbligherà a un corso prematrimoniale. A molti risulta insopportabile (e data la preparazione dei preposti, non hanno tutti i torti) eppure quanti hanno davvero riflettuto su cosa sia un matrimonio, per quali dannati – o benedetti – motivi ci si stia sposando? Come non pretendere un minimo di serietà dai convolanti? Come far comprendere loro che non dovrebbe trattarsi di una sorta di scappata a Las Vegas come quelle che hanno visto in tv? Indurli per un momento a pensare che non è una questione privata? Che si promette solennemente di fronte ad altri (se non volete nominare l’Altro)?

 

 

L’assessore vi promette che sarete seguiti e assistiti dall’anagrafe, dal catasto, dalla tari, dalla tasi dalla tarsu, dalla tares, dalle tasse di successione, dall’ufficio vaccinazioni, dagli assistenti sociali. Il prete vi dirà che sarete guidati direttamente da Lui, anche se cambia la giunta. Non siamo obbligati a credere alla Divina Provvidenza ma se dovesse risultare operativa (mai dire mai) perché privarsi di questa opportunità? E’ aggratis. L’ISTAT certifica che “la propensione a separarsi è molto inferiore - e stabile nel tempo - nei matrimoni celebrati con il rito religioso”. Bella forza, direte: i cattolici sono succubi dei divieti ecclesiastici. Ma come si può escludere che la benedizione funzioni a prescindere? Alzi la mano chi non tocca ferro davanti a gatti neri o auguri di sventura. E certo non vi sposereste, potendo scegliere, di Venere o di Marte. Non è vero ma ci credo, si dice a discolpa. Se però credete alla sfiga dovete anche credere alla buona ventura: non potete lasciarvi sfuggire, pascalianamente, l’opportunità di partire col piede giusto. Solo un puntiglio perverso può portarvi ad abbandonare la tradizione, a rifiutare la perpetuazione del rito che ci lega a tutti i nostri antenati. 

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