Edifici 3D

Dilatorio. Narrare tre giornate di vita in 550 pagine (nei caratteri minuti dell’edizione economica) comporta infinite interruzioni degli eventi quotidiani. Quasi tutti i buoni romanzi ne comportano ma qui c’è davvero bisogno di tanta retina da dedicare allo stato dell’edilizia. Già, questo sarebbe stato il titolo giusto (più vicino all’originale, tra l’altro). Lo stato degli immobili, l’usura delle strutture, l’altalena dei prezzi. E’ il grande pregio di questo romanzo raccontare balzachianamente un’epoca - un paese - attraverso le trasformazioni di un caseggiato, di un borgo, di una contea. Scriveva Forster in Casa Howard "Io penso che delle persone ci interesseremo sempre meno, Helen. Più gente si conosce, più facile diventa rimpiazzarla. E' una delle maledizioni di Londra. Io penso proprio che terminerò la vita provando interesse soprattutto per un luogo". Ma...

per Bascombe, alter ego di Ford, personaggio in cerca di un carattere (o più semplicemente di una definizione, di un aggettivo, di un epitaffio) casa può essere null’altro che il luogo “dove ti aspetta il tuo medico di base, le mani già infilate nei guanti bianchi”.

 

Agente immobiliare. Non è una professione a caso quella che Ford ha scelto per il protagonista del romanzo epocale: solo chi ha seguito nel tempo il grafico dei valori edilizi, l’avanzare della cementificazione e della speculazione e anche – spesso – la sconfitta e il degrado susseguenti; ha investigato l’animo di compratori e venditori, stanziali e forestieri; studiato il gioco casuale o scientifico del successo e del fallimento;  registrato quotidianamente cosa fanno gli uomini alle case – e soprattutto cosa fanno le  case agli uomini - può restituirci l’anima dell’America, almeno dell’America di quegli anni. Già remoti, a quanto pare, se troviamo plausibile che un venditore di professione non possedesse un cellulare. Ma già le cose più importanti succedevano in macchina: “Che sia l'ultimo spazio intimo che ci è rimasto?" 

 

Attuale, in ogni caso, questa involuzione: “la casa come naturale estensione di ciò che si voleva dalla vita, una specie di Destino Manifesto in scala minore, tutto questo adesso per le persone sembrava un motivo di incazzatura più che di esaltazione”. Bascombe rileva – e si rammarica? - che il sacro oggetto di fede dell’incremento forsennato conduce i cittadini a percepire ‘la permanenza come morte’. 

 

Tuttavia alla novecentonovantesima notizia sull’aspetto di un chiosco chiuso o di un lotto in vendita, di uno spazio morto o della prevalenza della tipologia Split-level su quella Stick Style, io comincio a sbuffare: sembra di usare Google Earth in permanenza. D’accordo, vuoi descriverci a fondo il New Jersey, e il protagonista ha occhio clinico (anche empatico e compassionevole) sulla faccenda, ma centocinquanta e forse duecento pagine si potevano evitare.

 

Che bravo quest’uomo, però. Il realismo è abbacinante: non c’è un personaggio banale. Certi gesti, certi dialoghi. Persone. Strane come sempre nella vita vera. Incredibili. Il più bizzarro è il figlio del protagonista, che Ford – o il traduttore? ho letto qualche critica, in proposito – si ostina  a definire ‘inquadrato’.

 

C’è poi il tormentone dei Repubblicani. L’odio del narratore per Bush e i suoi elettori è replicato di continuo. Senza argomentazioni, di default. Fa pensare a un idiosincrasia dello scrittore più che del personaggio, dipinto invece come possibilista, elastico, poco interessato alla politica. Se Ford davvero non sa che i presidenti vengono tutti dallo stesso circolo universitario e i candidati sono finanziati entrambi dagli stessi poteri dovrebbe cambiare mestiere. Va detto che la distinzione tra elettori democratici e repubblicani è soprattutto antropologica: il narratore si diverte a indovinare le tendenze delle persone che incrocia e attribuisce un colore politico a interi caseggiati, strade, cittadine. Insiste però ad attribuire importanza eccessiva ai risultati del voto.  

 

Significativa l’attività di volontariato definita ‘sponsoraggio’, che probabilmente non è un’invenzione romanzesca: questi volontari – guarda un po’ – risolvono problemi a domicilio. Nulla di nuovo tranne l’assoluta mancanza di competenza. I volontari – che per evitare coinvolgimenti eccessivi si recano a casa dei richiedenti solo per una volta: eventuali ulteriori visite saranno effettuati da altri membri – vengono selezionati solo in base al senso civico. Specialisti in medietà, alfieri del buon senso, spesso si limitano a suggerire a un ‘assistito’ nel pallone di rivolgersi a un  numero verde o  di mettere l’autoclave in cantina invece che sul terrazzo. A volte non hanno risposte e si limitano a conversare con una persona evidentemente sola. L’america (solo l’america?) - si deduce - è piena di gente apparentemente non isolata (molti dei ‘bisognosi’ sono ricchi e hanno intensa vita sociale) eppure sola di fronte a minuti problemi pratici o grandi dilemmi esistenziali. Gente che ha bisogno di parlare con qualcuno. Di sfogarsi. Di sentirsi dire qualcosa che già sa, magari. C’era una volta il parroco. Poi sono arrivati gli psicologi, gli psicoanalisti. Ci era sembrata un’evoluzione favorevole quella recentissima del consulente filosofo: la gente ha bisogno del filosofo più che del terapista; di risposte sul perché, più che sul come. Ora scopriamo che basta specchiarsi in una ‘persona’. Non uno specialista, con le sue gabbie mentali, ma una persona comune, pratica, un essere umano, privo di competenze specifiche, ovvero un ‘simile’. Il più prossimo. In mancanza della rete parentale, del buon vicinato, dell’amica del cuore, di tutto ciò che prima non necessitava di particolare apparati, si telefona al numero dell’associazione. 

 

 

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